Imballaggi compostabili, il futuro del settore dipende da due norme
Nel 2026 è prevista l’entrata in vigore della lista delle applicazioni da realizzare in materiali compostabili e della norma tecnica contro i falsi monouso. Due novità attese con trepidazioni dai produttori italiani e che aiuteranno a migliorare i tassi di riciclo della frazione organica dei rifiuti.
Quello che sta per aprirsi sarà un anno particolarmente cruciale per il settore degli imballaggi in bioplastica compostabile. Nel 2026 sono infatti attese due novità normative che avrebbero un indubbio impatto sul futuro di questo comparto industriale, figlio della bioeconomia circolare e strettamente connesso con lo sviluppo della raccolta della frazione organica dei rifiuti.
La prima novità arriva da Bruxelles: il 12 agosto 2026 è infatti prevista l’applicazione pratica del regolamento 2025/40/Ue, meglio noto come Ppwr (Packaging and Packaging Waste Regulation), in vigore dal febbraio scorso con l’obiettivo di ridurre i rifiuti di imballaggio, promuovere il riutilizzo e il riciclo, e aumentare il contenuto di materiale riciclato negli imballaggi.
La lista delle applicazioni compostabili
Il PPWR infatti prevede che alcune applicazioni, come le bustine di tè, le cialde per il caffè e gli adesivi applicati sulla frutta, debbano essere realizzate in materiali compostabili. Inoltre, ammette la possibilità che gli Stati membri dotati di un’impiantistica adeguata per la raccolta dei rifiuti organici possano rendere obbligatori shopper, buste per la frutta e la verdura, capsule per bevande, legiferando anche su altre categorie di prodotti.
Entro l’11 agosto 2026, quindi, l’Italia dovrà comunicare la lista di applicazioni da far rientrare in tale categoria. “Questo passaggio può apparire meramente tecnico, ma sarà invece cruciale per sfruttare pienamente le potenzialità della nuova norma”, spiega Marco Versari, presidente di Biorepack, Consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica compostabile. “Tale lista contribuirebbe a dare un quadro di certezze agli operatori che producono e utilizzano gli imballaggi compostabili, semplificando tra l’altro le attività di corretto conferimento dei rifiuti organici da parte dei consumatori”.
Facile comprendere perché questo passaggio sia atteso con particolare trepidazione dalla filiera italiana delle bioplastiche compostabili. Da esso infatti dipende lo sviluppo futuro di un comparto nel quale finora l’Italia è stato un indiscusso leader continentale, che conta quasi 180 aziende e 3.000 addetti, per più di 120.000 tonnellate di volumi complessivi e 704 milioni di euro di fatturato complessivo.
Finora, la crescita del settore è stata favorita da una normativa italiana lungimirante (quella del 2010 sull’obbligo di utilizzo dei sacchetti biodegradabili e compostabili). Tassello fondamentale di un circolo virtuoso che ha portato alla costruzione di un sistema “win win” che permette oggi al nostro Paese di gestire la frazione organica dei rifiuti domestici, produrre e riciclare imballaggi in bioplastica compostabile, trasformare tutto questo in materia organica e, al tempo stesso, lottare efficacemente contro le plastiche monouso, proponendo una soluzione concreta per riportare fertilità a terreni agricoli sempre più in sofferenza.
I dati forniti dal consorzio Biorepack evidenziano come le bioplastiche compostabili si stiano dimostrando un volano per la raccolta e il trattamento della Forsu: nel 2024, il tasso di riciclo organico degli imballaggi compostabili, al netto degli scarti, è stato pari al 57,8% dell’immesso al consumo (47.511 tonnellate riciclate a fronte delle 82.246 totali). Il dato si conferma superiore sia agli obiettivi di riciclo fissati per quest’anno (50%) sia per il 2030 (55%). L’ulteriore miglioramento dei risultati raggiunti passa dalla riduzione dei rifiuti non compostabili che ostacolano le attività di trattamento organico e soprattutto finiscono per far scartare, durante le attività di selezione, anche le matrici compostabili.
Chiarezza sugli “pseudo-riutilizzabili”
Su questo pesa non poco la presenza in commercio dei cosiddetti “pseudo-riutilizzabili”: piatti, bicchieri, posate e altri manufatti realizzati in plastica tradizionale che vengono commercializzati sfruttando una lacuna normativa nella normativa Sup (Single use plastic). Pur vietando il monouso, quest’ultima non ha specificato nel dettaglio i requisiti per poter definire riutilizzabile un manufatto. Ciò ha aperto la strada a un’elusione delle regole, in danno alle imprese legali.
E qui si innesta la seconda novità normativa che dovrebbe caratterizzare il 2026 del mondo dei prodotti compostabili: il 1º aprile 2025, dopo numerosi allarmi sollevati dagli operatori e dalle associazioni ambientaliste, il Ministero dell’Ambiente italiano ha notificato alla Commissione Ue una “proposta tecnica per la definizione dei requisiti di riutilizzabilità dei prodotti in plastica destinati ad entrare in contatto con gli alimenti”. Un passaggio che indubbiamente aiuterà consumatori e ambiente. Tutte le stoviglie che non rientreranno in questi parametri, infatti, non potranno più essere commercializzate. La grande domanda è quando entrerà in vigore la nuova norma. Essa dovrà infatti essere inserita in una legge o in un decreto e andrà poi pubblicata sulla Gazzetta ufficiale.
I tempi quindi al momento non sono stimabili e potrebbero anche dilatarsi sensibilmente, prolungando così l’incertezza dei produttori dei materiali compostabili. E, con loro, di chi si occupa del riciclo organico. “Ogni giorno che passa, è un giorno che l’Italia perde per fare chiarezza e aiutare la crescita, in termini di qualità e quantità, del riciclo della frazione organica”, sottolinea Versari. “La nuova regola, una volta in vigore, agevolerebbe molto le operazioni di trattamento, riducendo fortemente le matrici non compostabili negli impianti e, di conseguenza, migliorando i tassi di riciclo organico che già oggi vedono l’Italia ai vertici delle classifiche europee”.
IL CONSORZIO
Biorepack, Consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile, è un consorzio di diritto privato, senza fini di lucro, con statuto approvato con decreto del Ministero della Transizione Ecologica di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico, con la finalità di garantire lo sviluppo della raccolta differenziata e del riciclo organico delle bioplastiche assieme alla frazione organica dei rifiuti (articolo 182-ter del Dlgs 152/2006). È costituito da oltre 200 imprese, attive nella produzione di materie prime, trasformazione e utilizzo industriale degli imballaggi in bioplastica compostabile certificata Uni En 13432, nonché del loro riciclo organico.