Forsu e bioplastiche compostabili, l’approccio italiano un vantaggio per la Ue

Il nuovo Regolamento Imballaggi riconosce il ruolo dei materiali compostabili per valorizzare riciclo e trasformazione in compost della frazione organica dei rifiuti. Molte sono le sfide ancora aperte: l’esperienza italiana può confermarsi un faro per tutta l’Unione

Argomenti trattati: Imballaggi

Il nuovo Regolamento Imballaggi riconosce il ruolo dei materiali compostabili per valorizzare riciclo e trasformazione in compost della frazione organica dei rifiuti. Molte sono le sfide ancora aperte: l’esperienza italiana può confermarsi un faro per tutta l’Unione

L’Europa mai come in questi mesi è attaccata da più fronti. Esterni ma anche interni. Tanto da mettere in dubbio il senso stesso di un’istituzione che ha invece indubbi meriti, in termini di progresso, prosperità, stimolo allo sviluppo, all’innovazione e alla tutela ambientale. Ma non c’è peggior nemico della Ue di chi non sappia con onestà, accanto ai suoi meriti, riconoscere anche dove ha invece agito in modo controverso.

Chi si occupa di riciclo rifiuti in Italia sa bene di cosa parlo. In certi casi, la tendenza alla iper-regolamentazione non ha generato effetti positivi. Al contrario, ancora oggi è sottovalutata l’importanza della raccolta e del trattamento della frazione organica dei rifiuti, che rappresenta oltre un terzo del totale di quelli prodotti dalle famiglie europee. Senza una sua adeguata valorizzazione non si possono raggiungere gli obiettivi di riciclo fissati dalla stessa Ue né rispondere ai target di tutela ambientale dei terreni europei, che per oltre il 60% presentano segni di degrado: l’Unione, attraverso la propria Mission Soil ha l’obiettivo di riportare in salute i suoli continentali entro il 2030.

Insieme ai rifiuti umidi, è essenziale valorizzare il trattamento di materiali innovativi come gli imballaggi in bioplastica compostabile, nati proprio per semplificare la raccolta della FORSU.

In questo senso, da Bruxelles arrivano segnali ambivalenti. Il nuovo Regolamento Imballaggi ha l’indubbio merito di riconoscere il ruolo dei materiali compostabili: sono infatti resi obbligatori per alcune applicazioni come le bustine di tè e caffè e per gli adesivi applicati sulla frutta. Il Regolamento 2025/40 ammette inoltre la possibilità che gli Stati dotati di impianti adeguati per la raccolta dei rifiuti organici possano rendere obbligatori shopper, buste per frutta e verdura, capsule compostabili per bevande. Entro 18 mesi, inoltre, gli Stati possono legiferare su altre categorie di materiali compostabili.

D’altro canto, però, il Regolamento è ancora fermo al concetto secondo cui l’unica forma riconosciuta di riciclo è quella di materia (da carta a nuova carta, da alluminio a nuovo alluminio e così via). Tale approccio non riconosce il giusto valore agli imballaggi compostabili che, a fine vita, si trasformano in compost, restituendo importanti sostanze nutritive ai terreni agricoli.

Mi piace però pensare che i problemi ancora aperti siano sfide che l’Italia può cogliere per dimostrare, fuori dai propri confini nazionali, la lungimiranza di essersi dotata di un sistema virtuoso e di una legislazione avanzata per la raccolta dell’umido e degli imballaggi compostabili: penso ad esempio all’introduzione (due anni prima del resto della Ue) dell’obbligo di raccolta della FORSU, alla normativa sui bioshopper, ai Criteri Minimi Ambientali per la ristorazione collettiva. Ma anche alla creazione, prima al mondo, di un consorzio innestato nell’esperienza del sistema CONAI e dedicato al riciclo delle bioplastiche compostabili: i primi anni di vita di Biorepack hanno dimostrato il vantaggio di avere un organismo capace di affiancare gli enti locali per migliorare la gestione della frazione organica e informare i cittadini sui corretti criteri di conferimento dei materiali compostabili. Di più: si è rivelato utile per unire il mondo della ricerca con quello dei gestori dei rifiuti organici, per diffondere le best practice di trattamento che aiutano ad aumentare la quantità e la qualità del compost prodotto, minimizzando gli scarti da avviare in discarica.

Tanti tasselli che rafforzano i risultati di riciclo della frazione organica, aiutano la cura del suolo e consolidano l’innovativa filiera industriale e di ricerca sulla chimica verde e sulle bioplastiche compostabili.

A questi tasselli si è aggiunta, da pochi giorni, la proposta di regola tecnica presentata dal Ministero dell’Ambiente alla Commissione Ue che permetterà all’Italia di definire i requisiti di riutilizzabilità di piatti e posate in plastica. Attualmente, infatti, né la legislazione sovranazionale, né le norme di recepimento italiane contengono disposizioni specifiche per poter definire “riutilizzabile” un piatto, una posata o un bicchiere in plastica tradizionale.

Ciò ha causato la rapida diffusione delle vecchie stoviglie monouso, vendute ora con la dicitura “riutilizzabile”, sebbene siano del tutto simili a quelle vietate. Con grave danno sia per la filiera legale dei produttori di stoviglie compostabili sia per chi deve gestire il fine vita di questi prodotti, spesso conferiti in modo scorretto dall’utente finale. Un’indagine Legambiente ha evidenziato l’entità di questo “pasticcio”: su 317 prodotti esaminati, solo l’8% riporta informazioni coerenti circa la possibilità d’uso in lavastoviglie e nel microonde. Le certificazioni sono presenti solo in un terzo dei campioni ma nel 70% dei casi non riguardano la riutilizzabilità del prodotto.

La proposta del Ministero a Bruxelles aiuterà a chiudere questa falla. E il vantaggio – sono certo – si riverbererà anche oltre i confini nazionali. Di nuovo, non è un caso che il merito di tutto ciò verrà proprio dall’Italia.

Istituito nell’ambito del sistema CONAI, il Consorzio Biorepack si occupa della gestione a fine vita degli imballaggi in bioplastica compostabile certificati EN 13432 conferiti nella raccolta della frazione organica dei rifiuti urbani. A fronte della quantità di imballaggio in bioplastica compostabile che i singoli convenzionati (enti locali o gestori della raccolta rifiuti) avviano a effettivo riciclo organico e della qualità della frazione umida urbana, Biorepack riconosce corrispettivi economici per coprire i costi di raccolta, trasporto, riciclo organico del packaging riciclabile ottenuto: nel 2024 ha erogato 9,4 milioni di euro. Il tasso di riciclo ha già superato l’obiettivo 2030 e la copertura della popolazione servita ha raggiunto il livello indicato dal Piano Specifico di Prevenzione 2024-2026.