Produzione rifiuti, il “decoupling” non funziona, la transizione è “giusta” a prescindere e si impone con i Regolamenti

Secondo i dati Eurostat, nei dodici anni compresi tra il 2010 e il 2022 l’export di rifiuti pericolosi intra ed extra Ue dal 6,7% del periodo precedente si è attestato al 7,6%; il che “evidenzia una crescente movimentazione transfrontaliera”. Gran parte del flusso, secondo Eurostat, riguarda i rifiuti da costruzione e demolizione (diretti anche in Olanda e Germania).

C’è di buono che la percentuale di recupero è arrivata all’80% nel 2022. C’è di gramo che sembriamo non ricordare che la Convenzione di Basilea vieta l’export di rifiuti pericolosi in Paesi non Ocse. Eurostat censisce anche l’aumentata produzione europea di rifiuti pericolosi che, tra il 2010 e il 2022, da 90,8 è passata a 119 milioni di tonnellate: +31%. Il dato supera la crescita dell’economia Ue che, tra il 2005 e il 2023, si è attestata a 1,2%

(ec.europa.eu/eurostat/statistic-explained/index.php?title=Waste_statistics#Total_waste_generation).

Il “decoupling” tra crescita economica e produzione di rifiuti (o “disaccoppiamento”) si riferisce alla separazione tra la crescita economica e l’incremento della produzione di rifiuti. Teoricamente, significa che, migliorando l’efficienza nell’uso delle risorse, l’economia cresce senza che aumenti la quantità di rifiuti prodotti.

Questo è il pilastro fondamentale della Direttiva 2008/98/Ce e quindi della politica ambientale europea in tema di gestione dei rifiuti, a iniziare dalla prevenzione della loro produzione. Un pilastro, smentito, “per tabulas”, da Eurostat, cioè dall’Ufficio di statistica della stessa Commissione Ue. Insomma, c’è qualcosa che non va.

Un orizzonte problematico dove si inserisce il nuovo Regolamento imballaggi (PPWR) in vigore dallo scorso 11 febbraio ma che, per disciplinare numerose questioni di dettaglio, ha bisogno di ulteriori atti delegati, ai quali guardano con interesse le imprese di settore per provare a salvare il salvabile.

Obiettivo principale del Regolamento è ridurre la produzione di rifiuti. Infatti, gli Stati membri devono ridurre i rifiuti di imballaggio pro capite del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040, rispetto ai livelli del 2018. Quindi, l’effetto immediato è la riprogettazione del “packaging”. Sembra che ciascuno di noi produca circa mezzo chilo al giorno di rifiuti di imballaggio, e certamente non si può continuare così. Tuttavia, l’Italia si è dovuta impegnare (e non poco) per provare a contenere la prevalenza della pratica del riuso sull’industria riciclo. Un Regolamento. Ma sarà davvero questa la via?

Infatti, quello che colpisce dinanzi ai Regolamenti della transizione creata dal “Green Deal” Ue è che questa sia definita come “giusta” e che, se imposta con i Regolamenti (suprema fonte eurounitaria del diritto), sembri ancora più “giusta”.

Il termine, potente e tremendamente arrogante, denuncia la presunzione di sapere che non lascia spazio all’apprendimento. Quanto imposto da Bruxelles con i Regolamenti cancella la funzione salvifica del dubbio. Sant’Agostino con il suo “dubito ergo sum” ricorda la necessità della sospensione del giudizio fino a quando il pensiero non giunge a idee esatte, perché per pensare bene occorre dubitare molto.

È l’esperienza del dubbio e il suo elogio che possono condurci a farci domande e a non darci solo risposte.

Le teorie non cambiano, ma il pensiero sì. E questa idea europea di transizione “giusta” ha più il sapore di una teoria incapace di dubitare di sé anche (ad esempio) davanti al dato oggettivo dell’irrealizzabilità del “decoupling”.

Quel termine “giusta” riferito alla transizione e il suo declinarsi attraverso i Regolamenti è il rifiuto rabbioso della competenza dei singoli Stati membri, amplificato dai mastini della comunicazione tramite la retorica della sostenibilità. Questo rifiuto di riconoscere la capacità dei singoli Stati non è solo il non fidarsi del loro lavoro, ma è anche (e soprattutto) una miscela sapiente di narcisismo e disprezzo per i loro saperi e per la capacità di modellarne il contenuto.