Frane, l’Ispra certifica che i 93,9% dei Comuni italiani è a rischio. La tragedia dell’Emilia Romagna in un Paese che si fraintende
Italia che frana. Le frane censite superano le 620 mila (dal 1116 al 2023 periodo che intercorre tra la data di attivazione della frana più antica a quella più recente). Ma ogni anno tra nuove frane e quelle che si riattivano, si hanno oltre 1.000 eventi. Si aggiungono alcune centinaia di eventi che “causano impatti significativi sulla popolazione, sui centri abitati e sulla rete stradale e ferroviaria”.
I dati sono stati forniti in occasione della tragedia che ha colpito l’Emilia Romagna dal “Report Ispra 17 maggio 2023 sull’evento alluvionale Emilia-Romagna 16-17 maggio 2023” dove si riferisce dell’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (IFFI) realizzato da Ispra insieme a Regioni e Province autonome.
Dal Report si apprende inoltre che in 50 anni (dal 1972 al 2021) le frane hanno causato 1.071 morti, 10 dispersi, 1.423 feriti e 145.548 evacuati.
Ispra richiama il suo Rapporto 2021 sul dissesto idrogeologico in Italia e ricorda che il 93,9% dei comuni è a rischio per frane, alluvioni o erosione costiera; il 18,4% del territorio nazionale è classificato a maggiore pericolosità per frane e alluvioni; 1,3 milioni di abitanti a rischio frane e 6,8 milioni di abitanti a rischio alluvioni.
Un corpo, quello dell’Italia, elastico e forte ma soprattutto fragile e prigioniero di sé stesso e della sua storia. Perché il territorio è “geologicamente giovane e tettonicamente attivo”, dove il 75% sono colline e montagne. Ai fenomeni naturali dati da precipitazioni e terremoti si sommano le cause antropiche da “tagli stradali, scavi, costruzioni, perdite da acquedotti e reti fognarie”.
Non solo, Ispra riferisce anche dell’impatto del cambiamento climatico che interessa i fenomeni franosi che avvengono sui versanti in alta quota e quelli superficiali nonché quelli derivanti da piogge brevi e intense. In questo terribile scenario, l’Emilia Romagna vede il 14,6% del proprio territorio classificato a “pericolosità elevata e molto elevata nei Piani di Assetto Idrogeologico” dove 86.639 abitanti sono a rischio, “residenti nelle aree a maggiore pericolosità per frane; sono a rischio frane oltre 39.660 famiglie, 53.013 edifici, 6.768 imprese e 1.097 beni culturali”.
Numeri spaventosi. Le bordate della realtà. Frane sotto le quali si sbriciola ogni possibile equilibrio del triangolo della sostenibilità dove i fattori ambientali, sociali ed economici si vaporizzano in una manciata di tempo.
Numeri che denunciano un simbolismo e un codice del presente, al quale reagire con uno sforzo dichiarato fatto non solo di denaro ma anche e soprattutto di organizzazione. Perché lo sforzo non deve riguardare solo i temi ma anche e soprattutto il modo e la postura reattiva dei privati e della Pubblica amministrazione ai quali la politica deve fornire conforto e indirizzi e capacità di ascolto.
Per sopravvivere a tutto quello che oggi ci sembra perduto a causa di un reale diventato terribile, occorre fare e sentire tutto l’effetto liberatorio dell’azione. Ma senza delirio, senza indecifrabilità. Nella dialettica costante con il territorio occorre essere intelligenti e accesi da vitalismo assoluto.
L’offesa antropica al nostro territorio nasce dall’egotismo estremo dei suoi artefici, egocentrici e assertivi, frammentati e problematici, incapaci di sopportare la narrazione dell’altro e di raccontare ciò che è al di fuori di sé.
L’incapacità di vigilare, di vietare o, se necessario, consentire opere, azioni e manufatti appartiene a un paese che si fraintende mentre esplora sul proprio dolore la ineluttabilità di cose impensate e impensabili.