Documento riservato agli abbonati:
Accesso riservato

Raccolta rifiuti delle navi e residui di carico

Argomenti trattati: Rifiuti delle navi
Comunicazione 1° aprile 2016, n. 2016/C 115/05
(Guue 1 aprile 2016 n. C 115)

Orientamenti per l’interpretazione della direttiva 2000/59/Ce relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico

Gli “orientamenti per l’interpretazione della direttiva 2000/59/Ce relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico” arrivano dopo che i risultati di una valutazione ufficiale sulla direttiva (recepita in Italia tramite il Dlgs 24 giugno 2003, n. 182), portata a termine nel corso del 2015, hanno evidenziato come le differenti interpretazioni e pratiche elaborate dagli Stati membri al fine di recepire il provvedimento, continuino ad ostacolarne l’efficacia nella lotta agli scarichi in mare dei rifiuti prodotti dalle navi.
Al fine di orientare gli Stati membri (pur senza “pretendere di rivedere la direttiva né di interferire con le competenze della Corte di Giustizia”) la Commissione europea ha quindi deciso di pubblicare una comunicazione in cui rende nota la propria interpretazione della direttiva 2000/59/Ce (cd. “Ipr”). In particolare, gli orientamenti si concentrano sui seguenti aspetti chiave:
a) Impianti e Piani di raccolta dei rifiuti (articoli 4 e 5): la Commissione approfondisce il concetto di “adeguatezza” degli impianti (buona ubicazione, facile utilizzo, non eccessiva onerosità e capacità di trattamento di tutti i flussi di rifiuti “abituali”) ed evidenzia come la Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi, pur non essendo applicabile ai rifiuti prodotti durante il servizio della nave, “diventa applicabile una volta che i rifiuti sono stati conferiti a un impianto portuale di raccolta”.
In relazione ai Piani di raccolta e di gestione dei rifiuti (Prgr), la Commissione biasima la rilevata assenza – almeno dalla maggior parte dei Piani valutati – della descrizione relativa ai “tipi e quantità” dei rifiuti ricevuti e gestiti dal porto (che sarebbe obbligatoria), ribadisce la notevole variabilità che i Prgr possono assumere (in funzione del tipo di navi che fanno normalmente scalo), e sottolinea come le consultazioni con le parti interessate dovrebbero essere permanenti (non limitarsi alla fase di adozione dei Piani).
Ogni porto deve essere ispezionato ad hoc almeno ogni 3 anni (più spesso nel caso di reclami ripetuti). Per la segnalazione delle inadeguatezze, infine, si raccomanda l’utilizzo del modello vigente nell’ambito dell’Imo (Organizzazione marittima internazionale).
b) Obbligo di conferimento dei rifiuti negli impianti portuali di raccolta (articolo 7):
In risposta a due interrogativi sul campo di applicazione della norma, la Commissione esclude che i rifiuti scaricabili in mare ai sensi della convenzione internazionale sulla prevenzione dell’inquinamento causato da navi (Marpol) debbano automaticamente essere esclusi dall’obbligo di conferimento, e chiarisce che i rifiuti che derivano dalle banchine di riparazione navale non vanno considerati “rifiuti prodotti dalle navi”.
La capacità di stoccaggio dei rifiuti da parte delle navi, necessaria per derogare agli obblighi stabiliti dall’articolo 7, va valutata con riferimento a ciascuna tipologia di rifiuti (non complessivamente).
L’Esecutivo propone poi un approccio alle ispezioni basato su un meccanismo di selezione basato sul rischio, e raccomanda di mantenere sempre distinto il “blocco temporaneo” delle navi ai sensi della direttiva Ipr dal “fermo” previsto dalla direttiva 2009/16/Ce sul controllo da parte dello Stato di approdo.
c) Regime delle deroghe (articolo 9):
Le deroghe (all’obbligo di notifica anticipata, di conferimento e di corresponsione della tariffa) previste a favore delle navi che approdano negli stessi porti con frequenza e regolarità, potendo dimostrare l’esistenza di misure che garantiscono il pagamento delle tariffe e il conferimento dei rifiuti in un porto lungo la rotta, vanno interpretate in maniera restrittiva, anche se le navi per le quali il porto di partenza e di arrivo coincidono non sono necessariamente escluse.
Richiedere un contratto come prova dell’esistenza delle misure, sottolineano gli orientamenti, “esclude la prassi secondo cui si concede un’esenzione sulla base dei soli scali frequenti”. Spicca anche l’invito a non accettare come “prove sufficienti” gli accordi stipulati al di fuori dell’Ue per i quali le autorità nutrano dei dubbi.
Le richieste di esenzione, anche se l’accordo per le misure è lo stesso, vanno presentate separatamente nel porto di ciascuno Stato membro lungo la rotta. Il rilascio di un certificato di esenzione – di durata massima pari a 5 anni – sarebbe considerata “buona prassi”. (A.G.)