Economia circolare: il bluff culturale del riciclo che, per le Autorità competenti, continua a produrre rifiuti
Tempus fugit! La delibera 27 luglio 1984 che reca anche i criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani sta per compiere 32 anni. Un’età più che adulta. Nel frattempo ci sono stati: 13 decreti legge sui rifiuti (i primi vagiti dei residui riutilizzabili e delle materie prime secondarie); un “Decreto Ronchi”; un “Codice ambientale” con le sue innumerevoli modifiche; decine e decine di decreti e decretini (che, a volte, hanno sfiorato, l’ablativo di argomento); giurisprudenza; leggi regionali; emergenze. Ma la delibera è sempre lì. Immobile e indifferente rispetto al fatto che le norme sostanziali che le sottendevano (tassa e tariffa, aree e rifiuti) cambiavano ad una velocità degna del migliore centometrista.
Nel tempo si è trasformata in una vera e propria patrimoniale che si abbatte sulle imprese con la ferocia di un mastino, incaricato da un sistema difettoso e ormai agonizzante di ripianare i bilanci comunali.
È arrivato il tempo di ripensare a tutto questo e di sottrarre dalla tariffa (anche per la parte fissa) almeno le superfici adibite allo stoccaggio di materie prime, ai magazzini intermedi di produzione, ai magazzini adibiti allo stoccaggio dei prodotti finiti, nonché tutti i rifiuti che l’impresa invia a recupero. Il Dm sulla tariffa puntuale in corso di elaborazione sarebbe un buon banco di prova ma, da quanto si legge, si riaffermano i vecchi principi.
Con le imprese, dunque, l’ambiente non scherza. Basti pensare al Sistri e alla sua grottesca vicenda, oppure all’economia circolare dove la mano destra non sa cosa fa la sinistra. Per il momento, in moltissime realtà locali (per fortuna non tutte) è un vero e proprio bluff culturale e gestionale.
Mi riferisco a tutte quelle regioni/province che non autorizzano processi di riciclo per farne derivare Mps o End of Waste ma sempre e solo rifiuti. L’inutilità del tutto, è evidente. Nonostante la Commissione Ue sia di diverso avviso, nonostante la Suprema Corte di Cassazione abbia stabilito che il Dm 5 febbraio 1998 si applica solo al recupero agevolato e nonostante l’articolo 214, comma 7, “Codice ambientale” stabilisca che quanto non può essere autorizzato in forma semplificata, deve esserlo in forma ordinaria, niente. Dal riciclo continuano ad esitare rifiuti! Il motivo? Tutti aspettano (futuribili) norme tecniche dal Ministero dell’ambiente. Non arriveranno mai e nel frattempo il riciclo resta una parola sempre più spesso priva di significato. Il Ministero dell’Ambiente sta “covando” da mesi una circolare che risolva l’impasse, ma tutto rimane ancora avvolto nel mistero, nonostante si giochi sulla pelle di migliaia di imprese. È questo uno dei fantastici risultati (sic!) del decentramento amministrativo in materia di gestione dei rifiuti e delle ricette miracolistiche volute da una legislazione sempre più criptica e misteriosa. L’Italia (anche) sotto questo profilo non è capace di futuro, quindi, non può permettersi una visione adulta (cioè fatta di responsabilità) delle cose, deve ricompattare le competenze al centro. Diversamente non ci sarà argine all’ inarrestabile alterazione della concorrenza e alla disparità di trattamento tra imprese che fanno lo stesso lavoro ma hanno la ventura di risiedere in territori diversi della stessa Nazione. Questo perché abbiamo perso la sinestesia, cioè il sentire comune nel quale vive e di cui si nutre una società che ha senso comune.
E così mentre l’economia circolare rivendica a gran voce la sua capacità di cambiare il volto economico dell’Europa, in Italia il tempo diventa inaffidabile perché sembra passato ma non smette di tornare, mentre il futuro che deve arrivare si ferma capricciosamente su opinioni che, altrettanto capricciosamente, diventano verità.
Economia circolare, oggi solo una locuzione, votata al massimo ribasso possibile e forte solo dei messaggi emotivi trasmessi dalle associazioni di volontariato e senza fine di lucro; dove l’insegnamento produttivo e industriale, del lavoro specializzato e della crescita dei territori si perde in un faraonico abbozzo di un romanzo che non c’è. Che certamente avrebbe potuto ma che, per la bassa qualità dello sguardo di questa epoca, non sarà mai scritto.