Editoriale
Dal Mud al Sistri e ritorno. E intanto sono passati tre anni, nei quali a parte l’entrata in vigore del Dlgs 205/2010 e alcuni momenti di esasperazione sempre dovuti al Sistri, non è successo granché.
E l’auspicio di rivedere il tanto (prima) odiato Mud si è avverato. Come sempre, si stava meglio quando si stava peggio. Nel frattempo, sul territorio, si assiste quotidianamente alla destrutturazione del dato normativo con derive localiste più o meno evidenti, alle quali tutti piano piano si abituano, a prescindere da quello che la legge stabilisce.
È gravissimo, non solo e non tanto perché le fughe in avanti (o indietro) non giovano al Paese (inteso come sistema), ma anche perché sono una spia gravissima del fatto che il pensiero postmoderno ha invaso anche i sistemi ambientali in genere e quelli afferenti la gestione dei rifiuti in particolare. Il postmodernismo è la condizione antropologica e culturale che segue alla crisi e al presunto tramonto della modernità nelle società capitalistiche, le quali, fin dagli anni ’60, sono entrate nell’economia e nei mercati finanziari caratterizzati dalla dimensione globale, dall’aggressività dei messaggi pubblicitari, dall’invasività della televisione, dal flusso senza fine della “Rete”. Ne è derivata una condizione “culturale” che, combinata con il cd. “relativismo morale”, produce un mondo dove non esiste alcuna verità da cercare poiché ciascuno può fare quello che vuole e come vuole.
Insomma, il cavallo di Troia per il trionfo dell’individualismo; dove, come efficacemente scrive G. Steiner, al concetto di autorità si è sostituito quello di celebrità.
I noti casi giudiziari che affollano la cronaca “ambientale” quotidiana danno spesso il senso di questa sostituzione.
Steiner sostiene inoltre che “esiste un rapporto tra l’arte e la politica, tra la cultura e la società. Per capire l’evoluzione della cultura, per capire quali idee prevalgano e quali siano le loro conseguenze, è indispensabile la riflessione culturale e filosofica”.
Sembra incredibile, allora, affermare che per arginare i problemi afferenti la gestione dei rifiuti (ma potrebbe essere esteso a tutti) è necessario ricominciare a confrontarsi seriamente con l’arte. Invece no, non credo sia così incredibile, perché l’arte ci chiede di essere migliori e di vivere ad un livello spirituale più alto; si pensi semplicemente a quando entriamo in un museo: istintivamente abbassiamo la voce. Perché? Perché altrettanto istintivamente capiamo che disturbiamo la bellezza, che non vogliamo più vendicarci di lei profanandola con il rumore.
Tra una commedia di Molière e una farsa grossolana che insiste sugli istinti primitivi c’è un abisso, ma è nascosto dal successo della seconda. Non è più accettabile non capire le differenze e non avere più capacità di giudizio.
Finché, invece, si continuerà ad assistere al trionfo del kitsch (quindi delle scorciatoie) anche la gestione dei rifiuti avrà i suoi gravissimi problemi, perché non ci sarà una intelligenza di sistema capace di condurre le fila di una discorso unico e unificante che elimini la contemporanea presenza di mille verità, asse portante e giustificante di nessuna assunzione di responsabilità da parte di nessuno, in uno scenario eclettico e puramente autoreferenziale. Occorre un nuovo percorso verso un’ortodossia normativizzante e uniformante. Ma questa è figlia di una specie di dialogicità, di interazione fra linguaggi diversi che, però, non si annullano in un codice unico.
Diversamente, credo che la comunicazione globale continuerà nella esaltazione nichilista dell’unico riferimento stabile: dissoluzione della realtà e intreccio sempre più inestricabile tra verità e finzione, il simulacro di un mondo sempre più virtuale e meno reale.
In fondo il Sistri era qualcosa di diverso?