Mentre il mondo accelera sull’intelligenza artificiale, l’Italia si regala una proroga-farsa sul Rentri

Argomenti trattati: Tracciabilità

Sostenibilità vuol dire tante cose e fra queste, sicuramente, la possibilità di produrre meno costi sociali e ambientali. Ma come? Le idee sul tappeto sono sempre molte e a volte particolari; però, un’iniziativa recente colpisce per la sua originalità: calcolare il costo di utilizzo di quello che comperiamo. Una pratica interessante che va oltre il prezzo dell’acquisto del bene.

Una volta si diceva “chi più spende meno spende” e a ben guardare è un concetto che sta tornando. Questo perché i beni di qualità costano di più ma durano più a lungo e sono riparabili e così, nel lungo periodo diventano più economici. Il calcolo è semplice: si divide il costo totale dell’oggetto per il numero di (presunti) giorni di sua durata.

Tra le iniziative originali, ce n’è una stravagante, ma neanche troppo: l’apertura in Francia dei centri per il lavaggio delle stoviglie riutilizzabili in plastica, vetro e acciaio; i centri diffonderebbero il riuso e combatterebbero l’usa e getta.

Nuove e originali notizie, dunque, giungono dal mondo della sostenibilità dove, intorno alla creatività, si aggregano gli attori fondamentali di ogni successo: le norme, la logistica, la filiera produttiva e l’impegno dei consumatori. La strada è ancora molto lunga, ma era tempo. Quasi come tornasse l’insuperata prosa di A. Baricco quando, nel suo Castelli di rabbia, scriveva “Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde”.

Ma accanto alle buone notizie c’è il fermo immagine del bifrontismo delle grandi e piccole città italiane, ammalate anche di archeologia industriale in declino e abbandonata.

Un fenomeno che produce luoghi combattuti tra l’impulso di una possibile rinascita post-industriale e quello di una immobilità corrosiva che gli rema contro. Luoghi in bilico tra un passato che c’è stato e un futuro che non c’è, senza crollare e senza rinascere. Senza respiro.

Città nella città, in quella realtà fisica e organizzata di fattori economici e sociali, un luogo ma anche una dimensione della psiche e una categoria antropologica. Capace di trasformarsi da utopia in distopia e viceversa. Dipende dal fluire delle cose e dagli occhi con i quali accettano di farsi guardare.

Eppure si uscirà da tutto questo, ma non grazie ai lavaggi dei contenitori o al calcolo del costo di utilizzo di quello che compriamo. La chiave è scontata e si chiama IA. Sarà un bene o sarà un male? Dipende dal grado di ottimismo/pessimismo di ciascuno, perché cambieranno il pensiero, la conoscenza, la percezione, la realtà. In una parola, il corso della storia.

Lo scorso 11 febbraio, per promuovere ricerca e innovazione sull’IA, la Commissione Ue ha annunciato un fondo europeo di 20 miliardi di euro. E il Paese più attivo, in questo momento, è la Francia. È lì che ha sede Mistral, il linguaggio europeo oggi più noto e che si chiama come il vento freddo e potente della Provenza. Forse il nome non è un caso.

Con il fondo saranno costruite quattro “giga-factory” per mobilitare investimenti fino a 200 miliardi di euro. Ed è solo l’inizio.

Intanto, il ritmo del cambiamento accelera e per questo il premio Nobel 2021 per la fisica, Giorgio Parisi, chiede che l’Europa crei un Cern per l’IA dove fare “quello che ancora non c’è”.

In Italia, con poca fantasia, ci siamo limitati a una proroga-farsa del Rentri approvata nella notte con la conversione in legge del Milleproroghe. Ma sarà operante solo con un decreto che il Ministero dell’ambiente dovrebbe fare entro un mese.

Che cosa sgradevole, perché tutti erano pronti e le fisiologiche difficoltà del primo momento erano già state messe in conto.

A differenza del Nobel Parisi, più modestamente, ci sarebbe bastato fare “quello che già c’è”. Neanche quello.