Earth overshoot day, impronta ecologica e biocapacità: il deficit ambientale e la sfida del nuovo capitalismo ecologico

Earth overshoot day, letteralmente il “giorno del superamento della Terra”. Per quest’anno, in Italia, è caduto lo scorso 19 maggio. In altri termini, in quel giorno il nostro Paese ha consumato le risorse naturali rinnovabili per il 2024 (cibo, materiali naturali ed emissioni di gas serra). Dal 20 maggio gli italiani hanno iniziato a consumare quelle future.

In meno di cinque mesi abbiamo esaurito la disponibilità di tutto l’anno e siamo in un grave deficit ecologico; in pratica, spendiamo più di quanto abbiamo, andando oltre la capacità naturale delle risorse di rigenerarsi, su base pro-capite. Da più parti si sostiene che ci vorrebbero 4 Paesi come l’Italia per soddisfare i consumi nazionali.

Un bilancio pesantissimo dove il passivo dell’“impronta ecologica” supera l’attivo della “biocapacità”.

Il rapporto 2024 di Global Footprint Network mostra che se il nostro deficit ambientale è alto, quello di Usa e Russia è altissimo: il superamento è avvenuto il 14 marzo e il 5 aprile. La Cina è arrivata il 1º giugno. A tacere di Qatar e Lussemburgo che hanno consumato il proprio plafond di risorse per il 2024, nei giorni dell’11 e del 20 febbraio scorsi.

Il vecchio adagio “mal comune mezzo gaudio” non consola, perché questi dati sono il segno tangibile di un’abitudine predatoria impossibile da rimuovere. Quasi.

Infatti, lo scorso 24 aprile il vecchio emiciclo europeo ha approvato la direttiva “Csddd – Corporate Sustainability Due Diligence Directive”. Un nuovo paradigma per l’azione produttiva che imporrà alle imprese di svolgere attività per prevenire, mitigare o ridurre al minimo gli impatti su diritti umani e ambiente che potrebbero generarsi nelle attività che svolgono e nelle catene del valore a cui partecipano. Tali impatti includono la schiavitù, il lavoro minorile, lo sfruttamento del lavoro, la perdita di biodiversità, l’inquinamento o la distruzione del patrimonio naturale.

Questo impatterà fortemente su politiche e strategie aziendali, operazioni e qualifiche di fornitura. Non solo; le aziende sono chiamate a ridurre le emissioni climalteranti, per rendere il loro business compatibile con la transizione verso un’economia sostenibile e con il contenimento del riscaldamento globale entro 1,5 ºC, in linea con quanto già previsto dalla “Csrd – Corporate Sustainability Reporting Directive”.

Uno sconvolgimento vero, da cui usciranno vincitori e vinti, dove le tensioni sociali rischiano di stratificarsi come le ere geologiche. Ancora una volta il mondo della produzione manifatturiera è chiamato a essere protagonista del cambiamento poiché, come chiede l’economia circolare, dovrà adattare i processi produttivi ripensandoli per essere neutrali sotto il profilo climatico e a basso impatto. Pensiamo a Paesi e aziende che si fondano sulla produzione di tessuti e di moda a basso costo: strategie di business tutte da rifare poiché contrarie all’economia circolare. Di nuovo, gli assi economici e politici si sposteranno verso dove potranno attingere a tecnologia, green e digitale. Insomma, gli strumenti per un capitalismo ecologico sono stati creati affinché la transizione ecologica ed energetica sia strumento di crescita economica e non l’inizio della fine. Sarebbe il dilagare di un tempo vuoto dove, nell’amplificazione degli istanti, il futuro diventerebbe un tradimento e non un potere. Perché se è vero che talento significa possedere le risposte ancora prima che sorgano le domande, è anche vero che ormai le domande sono tante e sono precise. Quindi, che l’industria e i sistemi produttivi non si sottraggano all’avvento di un nuovo caos il quale deve essere reso emozionante, affinché non diventi tragico. Perché i sistemi naturali, compreso quello umano, sono la somma di un insieme di limiti. La sfida è capirli fino a farne una geometria leggibile.