Imballaggi: l’incomprensibile penna ideologica europea e lo smarrimento nazionale
Sarà il trilogo (lo strumento legislativo di negoziato interistituzionale informale per il dialogo tra Commissione, Parlamento e Consiglio Ue) a comporre la “querelle” tra riuso e riutilizzo degli imballaggi, dove il contrasto tra Italia e Ue è totale.
Lo schema di Regolamento europeo (PPWR – Packaging and Packaging Waste Regulation) che diventerà norma vincolante entro il 2024, vuole anche abolire le plastiche monouso a vantaggio degli imballaggi sostenibili. La consultazione pubblica avviata si concluderà il 20 aprile 2024.
Lo schema approvato a fine 2023 lascia presagire pesanti effetti sulla realtà economica italiana legata alla produzione degli imballaggi e, una volta diventati rifiuti, alla loro successiva gestione. Infatti, gli obiettivi sono rappresentati da:
• riduzione della produzione pro capite di rifiuti da imballaggio, rispetto al 2018: 5% entro il 2030; 10% entro il 2035; 15% entro il 2040
• far diventare gli imballaggi riciclabili in modo economicamente vantaggioso entro il 2030;
• introduzione dal 1º gennaio 2030 di tassi vincolanti di contenuto riciclato nei nuovi imballaggi in plastica.
La scelta del Regolamento, inteso come fonte normativa per legiferare sulla disciplina degli imballaggi, ha suscitato in Italia condivisibili critiche. In effetti, sarebbe stato più opportuno che la Commissione adottasse una Direttiva che, con il recepimento, avrebbe consentito una normativa interna più adesa alla realtà del singolo Paese. Anche se le microimprese, ad oggi, sembrano affrancate dagli obblighi, una cosa è certa, lo schema non considera i diversi contesti nazionali: non si cura né dei sistemi di riciclaggio e raccolta sviluppati né degli impatti sui sistemi produttivi nazionali.
Nel 2021, secondo i dati Conai, l’Italia ha avviato a riciclo il 73,3% degli imballaggi immessi sul mercato: 10 milioni e 550mila tonnellate. Dati che destituiscono di fondamento la valenza specifica del riutilizzo; questa avrebbe un senso solo ove si dimostrasse l’effettiva impossibilità di raccolta e riciclabilità degli imballaggi. Il che non è; nonostante questo, si va verso l’esposizione a rischio e la depressione del modello italiano. Un modello che, con largo anticipo, ha superato i target Ue e che, creando lavoro e tutelando l’ambiente, afferma i principi della circolarità della materia e quindi dell’economia.
In ogni caso, non si tratta di essere contro il riutilizzo ma occorre anche difendere il riciclaggio e l’industria nazionale che ne è sorta. La scelta europea pare più ideologica che tecnica e per questo motivo è sicuramente capace di produrre collassi non solo nelle filiere produttive.
Infatti, senza voler scomodare il confezionamento del camembert francese e rimanendo a casa nostra, in Italia le nuove regole non piacciono neanche alla filiera degli utilizzatori di imballaggi. Si pensi ai settori agricoli che giustamente lamentano possibili problemi igienico-sanitari dei futuri sistemi di conservazione e conseguente aumento degli sprechi di cibo oppure del mancato consumo di frutta e verdura. Infatti, insalate in busta e frutta confezionata sembra davvero che possano scomparire dagli scaffali dei supermercati perché, come per le bustine di zucchero, l’imballaggio non raggiunge il chilo e mezzo di peso (dal target del riutilizzo si salva il vino ma non, tra gli altri, l’amaro o il distillato).
Il tutto sembra proprio un tentativo (quasi riuscito) di deindustrializzazione. Il sistema di economia circolare in Italia è stato costruito in un quarto di secolo e con investimenti miliardari soprattutto in tecnologie. E che dire dei 7 miliardi di euro spesi negli ultimi vent’anni per sviluppare la raccolta differenziata? La flessibilità per la realizzazione di un felice mix tra sistemi diversi deve essere garantita. Smantellare tutto questo significa non voler guardare ai problemi veri dell’Europa, dalla carenza di acqua al mutamento climatico. A tacere del fatto che il riuso comporta più trasporti e maggior impiego di acqua ed energia per la pulizia.
Nella sua imprevedibile penna, il sistema di governo europeo deve scandire, adattandolo, un nuovo passo narrativo e, rispettando le vite degli altri, accettare la diversità che tanto declama.