Energia da rifiuti: dall’ignoranza polifonica al saper fare

Argomenti trattati: Energia

In questo numero molto speciale della Rivista ci siamo soffermati su una specie di tabù: l’energia da rifiuti, nelle sue varie forme.

E così abbiamo ricostruito la legislazione e la giurisprudenza, chiesto il contributo di istituzioni ed Esperti, di associazioni di categoria e di aziende importanti e innovative che combattono l’epocale battaglia della transizione ecologica ed energetica.

La domanda è semplice e antica ed è sempre la stessa: i rifiuti sono fonti alternative e rinnovabili di energia? La risposta è ancora timida ma non è più eludibile ed è “sì” e, come tali, possono contribuire al conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.

Del resto, i rifiuti urbani sono costituiti da frazioni eterogenee ricche di carbonio di origine sia rinnovabile (carta, legno, scarti organici, fibre tessili naturali, ecc.), sia di origine fossile (plastiche, resine e fibre sintetiche, ecc.).

Per produrre energia termica e/o elettrica, i rifiuti possono essere impiegati in tre modi:

• costruire e gestire impianti dedicati che impiegano rifiuti e/o combustibili alternativi da essi derivati per la produzione di energia elettrica e/o termica (termovalorizzatori);

• impiegare combustibili alternativi derivati da rifiuti (Css/Cdr), aventi specifiche caratteristiche, in impianti industriali esistenti a parziale sostituzione di quelli fossili utilizzati di norma (es. carbone, petcoke);

• utilizzare il biogas da discarica o da rifiuti a matrice organica derivanti dal ciclo di produzione e consumo degli alimenti, da agricoltura e da fanghi di depurazione per produrre energia e biometano (fermo restando che le caratteristiche del biogas da discarica lo rendono più idoneo per la produzione di energia elettrica e/o termica).

Quindi, abbiamo cercato di comprendere a che punto siamo.

Era il 1973 quando intervenne il primo shock petrolifero. La crisi che fece avvertire, per la prima volta, la necessità di fonti energetiche alternative capaci di sostituire, anche se parzialmente, quelle tradizionali.

Al tavolo della riflessione su possibili combustibili alternativi, si sono aggiunti, nel tempo, cementifici, centrali termoelettriche, centrali termiche di teleriscaldamento. Attori nuovi e sempre più interessati che pativano (e patiscono) le impennate del prezzo di petrolio e del gas naturale, la liberalizzazione del mercato energetico e l’ovvia necessità di contenere i costi di approvvigionamento del materiale combustibile.

Al centro delle riflessioni per la possibile alternativa, troneggia (da sempre) Sua Maestà il rifiuto urbano che, pur non ottimale quanto a combustibilità, non smette di aumentare. Tuttavia, le frazioni combustibili che, dopo appositi trattamenti ne derivano, giocano un ruolo nodale anche in ragione della loro, riconosciuta, rinnovabilità. Dal canto suo, il rifiuto speciale non pericoloso (e dotato di specifiche caratteristiche), via via perde il suo ruolo ancillare per conquistare palcoscenici di maggior rilievo.

Ottenere una fonte energetica alternativa, con un prezzo tanto contenuto da essere quasi negativo e importanti risvolti ambientali, rappresenta una prospettiva, ovviamente, più che allettante.

Ed è in queste motivazioni, tanto semplici quanto ovvie, che si radica l’invenzione di quello che negli anni ’70 era il Calurb (Combustibile alternativo urbano) trasformato nell’Rdf (Refuse derived fuel), poi diventato Srf (Solid recovered fuel) e Cdr (Combustibile derivato da rifiuti). Quest’ultimo, aggiunto della lettera “Q” (“Qualità”) nel 2006 diventava un “non rifiuto”, nel 2008 si trasformava in rifiuto speciale. Poi cancellato nel 2010 quando nomi e caratteristiche giungevano a sintesi nel Css (Combustibile solido secondario): la trasposizione nazionale del recepimento dello standard tecnico europeo dell’Srf elaborato dal Cen (Comitato europeo di normazione tecnica), su incarico della Commissione Ue. Lo standard tecnico non è una cosa astratta ma un vero complesso di riferimenti disciplinari per la classificazione e la specificazione del Css, il campionamento, le determinazioni delle caratteristiche chimico-fisiche e della parte biodegradabile dei rifiuti urbani e speciali (che ne determina il grado di rinnovabilità) e soprattutto il controllo della qualità in fase di produzione. Un vero e proprio combustibile alternativo disciplinato dal Dm 22/2013 che quando arricchito dalla lettera “C” di “Combustibile” diventa un End of Waste.

La quadratura del cerchio, dunque. No, preferiamo il carbone. Ipotizzando la riattivazione delle centrali accettando (con mal celata, quanto incomprensibile contentezza) che il combustibile alternativo venga esportato in impianti esteri che, consapevoli del valore di questo prodotto, lo accettano più che volentieri. Quindi, la norma esiste, ma le coscienze non sono pronte perché è ancora radicata la (immotivata) percezione del Css-C come di un mero aggiornamento del Cdr e del Cdr-Q intesi come rifiuti speciali.

Buone notizie arrivano dal fronte del biometano, che ha trovato la sua recente (e attesa) pacificazione normativa che consente di ottenere benefici importanti. Si ha così un combustibile totalmente rinnovabile che consente di ottenere energia e calore dai rifiuti. Infatti, nasce dall’upgrading del biogas che deriva da fanghi di depurazione, reflui zootecnici, scarti agricoli, Forsu e biogas di discarica. Il fronte popolare del “no” però si barrica dietro il problema degli odori che non è di facile soluzione.

Però, il biometano, quando diventa carburante, è utilizzabile sui veicoli esattamente come il Cng (Gas naturale compresso) e l’Lng (Gas naturale liquefatto) di origine fossile, ma con emissioni di CO2 pari a zero: un risultato che neanche il motore elettrico riesce a ottenere. A chiudere il cerchio del rifiuto organico si aggiungono digestione anaerobica e compostaggio.

Non si può non tenere conto degli effetti sociali ed economici che derivano dalla promozione dell’energia rinnovabile (uno degli obiettivi della politica energetica Ue):

• lotta ai cambiamenti climatici;

• protezione dell’ambiente e del territorio;

• riduzione della dipendenza energetica;

• crescita tecnologica e industriale nazionale ed europea;

• sviluppo occupazionale ed economico di aree rurali o svantaggiate.

In questa prospettiva, i biocarburanti, i bioliquidi e i combustibili da biomassa prodotti da rifiuti e residui, anche agricoli, si candidano a svolgere sempre più un ruolo fondamentale. Del resto, l’obiettivo dichiarato del Dlgs 199/2021, attuativo della direttiva 2018/2001/Ue sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, è chiaro: “accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese”.

E di tutto questo è ormai necessario che i Comitati “anti tutto” se ne facciano una ragione. Invece, dominati dal pensiero eco-illogico, colpiscono ancora, nella manifesta espressione di più d’uno strafalcione ideologico. I risultati rassegnati in questo numero della Rivista, dimostrano che i tempi sono maturi per una nuova consapevolezza che elimini la fatica del comprendere e diventi utile alla collettività.

I Tar non devono più essere affossati dai ricorsi di tutti contro tutto (a luglio, il Tar del Lazio ha respinto i quattro ricorsi contro il termovalorizzatore di Roma). È soprattutto lì che i sacerdoti eco-illogici, nel loro andare smarrito, pronunciano postulati convinti di essere “i giusti” portatori di una lingua smagliante ma corrotta dall’ignoranza polifonica dell’allucinazione globale, dove il desiderio diventa il motore nevrotico del riposizionamento di diritti e di doveri.