Codice ambientale: le 93 modifiche in 17 anni sulla gestione dei rifiuti non salvano il territorio

Il nuovo cubo di Rubik: trovare il punto di equilibrio tra la nostra specie e l’ambiente, oggi e domani, senza rinunciare al benessere materiale che abbiamo costruito.

Oggi, nel funambulismo che anima il nostro agire tra i pilastri dello sviluppo economico, della protezione ambientale e dello sviluppo sociale siamo chiamati a fare altro e a farlo bene. L’approccio alle tematiche Esg deve, dunque, essere strategico. Come fare? Partire da ricerca e sviluppo per nuovi prodotti, continuare con processi produttivi a emissioni ridotte e che impiegano energia rinnovabile, implementare le basi dell’economia circolare, avere cura dei territori e delle comunità dove l’impresa opera.

Insomma migliori pratiche che fanno la differenza, guidate dai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030.

Facile, difficile? Certamente sfidante e necessario. Però, non solo di sostenibilità di impresa è fatto il mondo ma anche di quella spicciola, di tutti noi e di tutti giorni: non sprecare acqua ed energia, rispetto delle regole sulla raccolta differenziata dei rifiuti, non cementificare a tutti i costi i territori anche evitando l’acquisto dell’appartamentino panoramico bensì ristrutturare il rudere.

La ricchezza del nostro prevedere, tanto da poterne con saccenza parlare, testimonia il narcisismo nazionale e rende inutili, perché sconosciute o antiche o inesistenti, le norme sulla prevenzione del dissesto idrogeologico. Da www.reteambiente.it si apprende che dal 2006 abbiamo modificato ben 93 volte (sic!) la parte quarta sui rifiuti del “Codice ambientale”, però non poniamo mano alla disciplina urbanistica, alla rigenerazione del tessuto urbano, al disordine del sistema idrogeologico, alla distruzione del patrimonio forestale.

Questo deve essere il diritto dell’ambiente e non quella (spesso banale) sfumatura lessicale delle regole sulla gestione dei rifiuti, usata sempre più per far mostra di sé e della propria ideologia che non per una vera capacità di comprendere e servire il territorio. Le 93 modifiche alla parte quarta del “Codice ambientale” sulla gestione dei rifiuti intervenute in 17 anni non solo dicono tanto dello sproloquio sul punto ma, soprattutto, non hanno tutelato l’Emilia Romagna dall’alluvione (e prima la Liguria e altro). Occorre un’Agenzia nazionale per la prevenzione del rischio idrogeologico che si muova in sinergia con le Regioni e i Comuni che si faccia carico di casse di laminazione, versanti franosi, linee di costa e dragaggi e, invece, continuiamo a considerare il consumo di suolo e la costruzione delle villette panoramiche come il volano dell’economia.

Meno che mai servono le azioni dei (sedicenti) movimenti ambientalisti che fermano il traffico e imbrattano le opere d’arte che hanno più il sapore di soggetti eco-illogici che eco-logici. I nuovi dioscuri della tutela, i predicatori ideologici, dogmatici e inflessibili, non protestano mai contro la Cina. La Cina che nel 2021 ha prodotto il 33% delle emissioni totali di CO2 a livello mondiale e che, da sola, ha superato la somma di Stati Uniti (12,5%), Ue (7,3%), India (7%) e Russia (5%), cioè delle quattro economie che la seguono (Fonte: Report 2022 – CO2 emission of all world countries). Pechino non smetterà di aumentare le emissioni ancora per parecchio tempo perché punta a raggiungere il picco prima del 2030. Perché allora non fermare il traffico di qualche arteria autostradale cinese ma solo quello del Raccordo anulare di Roma? Ma la risposta è invariabilmente “no” perché in questo modo i nuovi sacerdoti eco-illogici salvano sé stessi con l’alibi accessorio di salvare gli altri, rubando al loro destino quella dose di riconoscimento, desiderio e ammirazione che, semplicemente, li rende vivi anche se traditori della verità.