La Rubrica si propone come strumento in grado di offrire un supporto operativo alla soluzione dei numerosi problemi interpretativi ed applicativi che sorgono nella produzione, nella gestione e nel controllo dei rifiuti. Ciò al fine di operare una collaborazione culturale e conoscitiva con il Pubblico direttamente coinvolto con le tematiche specifiche.
Un’azienda di servizi medio-grande, con uffici in tutta Italia, gestisce nel seguente modo i propri rifiuti:
1) plastica e carta sono trasportati e smaltiti ad opera di ditte in possesso delle autorizzazioni previste, attraverso un contratto che permette all’azienda di servizi di usufruire del beneficio della riduzione della Tari.
I rifiuti non sono gestiti né con il deposito temporaneo né con il registro di carico e scarico, tuttavia nel trasporto a recupero sono accompagnati da formulario.
2) a seguito di un riammodernamento degli apparati hardware, l’azienda ha deciso di alienare pc, telefoni etc. come rifiuti (tutti non pericolosi) attraverso un contratto con una società che si occuperà del trasporto e del recupero. Tali Raee non pericolosi, saranno venduti alla ditta che si occuperà del recupero.
Anche in questo caso l’azienda di servizi intende gestire i propri rifiuti senza registro di carico e scarico e senza le regole del deposito temporaneo, in virtù dell’articolo 190 comma 1 e conseguentemente dell’articolo 184 comma 3 lettere c), d) e g), Dlgs 152/2006.
Si ritiene che le due procedure siano corrette? Ossia che l’azienda, in quanto società di servizi non debba avere un registro di carico e scarico e sottostare alle regole del deposito temporaneo.
La ditta non è in possesso di pesa. Registra il carico di uno stesso rifiuto in kg con peso presunto. Con lo scarico richiama tutti i carichi di riferimento.
Spesso il peso verificato a destino in kg risulta in più o in meno rispetto alla somma di tutti i carichi. L’Arpa contesta l’irregolarità della registrazione in quanto i pesi non corrispondono.
Può essere contestata dall’ente tale irregolarità e sanzionata?
Società a capitale pubblico i cui soci sono 26 amministrazioni comunali e che gestisce esclusivamente rifiuti urbani. I rifiuti cimiteriali da esumazioni ed estumulazioni sono classificati urbani ai sensi dell’articolo 184, comma 2, lettera f), Dlgs 152/2006. In alcuni dei “nostri” comuni, i servizi cimiteriali sono gestiti da società patrimoniali costituite ai sensi dell’articolo 113, Dlgs 267/2000. In questo caso, poiché il produttore non è il comune ma la società patrimoniale allo scopo costituita può essere considerato rifiuto urbano e quindi conseguentemente gestita dalla nostra Società a capitale pubblico, o deve provvedere autonomamente la società patrimoniale?
Le siringhe usate in ambito domestico sono rifiuti urbani ed ai nostri utenti indichiamo di conferirle in sicurezza (con il cappuccio ed all’interno di contenitore rigido) nel sacco della raccolta indifferenziata; tuttavia vorremmo posizionare dei contenitori destinati alla raccolta delle siringhe usate in altri luoghi (es. presso farmacie e ambulatori o altri punti del territorio e sedi). È possibile la raccolta di un rifiuto urbano in luogo diverso da dove è stato prodotto (esclusi i centri di raccolta ai sensi del Dm 8 aprile 2008)?
In caso di rifiuto sottoposto ad analisi chimica di laboratorio, è ammissibile che la classificazione e l’attribuzione delle relative caratteristiche di pericolosità sia effettuata dal produttore in apposita scheda di classificazione, corredata dal rapporto di prova del laboratorio, oppure è necessario che il giudizio sulla classificazione e l’attribuzione delle relative HP siano contenuti all’interno di un certificato di analisi di laboratorio, timbrato e formato da un chimico iscritto all’Ordine, incaricato dal produttore?
Un impianto di smaltimento può rifiutarsi di accettare un rifiuto, perché ritiene che la suddetta scheda non sia valida giuridicamente, in quanto la classificazione e l’attribuzione delle caratteristiche HP non sono determinate da un responsabile di laboratorio iscritto all’Ordine dei Chimici? In caso di contenzioso la responsabilità della classificazione non grava unicamente sul produttore?
Si chiede un vostro parere sulla possibilità di trattamento mediante inertizzazione (D9), finalizzata alla stabilizzazione dei metalli pesanti, di un rifiuto classificato pericoloso per metalli e per PCB (secondo il Regolamento (Ce) 850/2004) ma che presenti una sommatoria dei PCB, ai sensi del Dm 27 settembre 2010, conforme alla smaltibilità in discarica per rifiuti pericolosi.
Nell’Aia di un impianto di recupero rifiuti per la produzione di aggregati per rilevati/sottofondi stradali e conglomerati cementizi (end of waste), l’autorità regionale ha posto, quale prescrizione sui rifiuti in ingresso all’impianto, ove non previsti dall’Allegato 1, Suballegato 1, Dm 5 febbraio 1998 per la specifica destinazione (rispettivamente produzione di “rilevati e sottofondi stradali” e “conglomerati cementizi”), la verifica e il rispetto dei limiti della Colonna B, Tabella 1, Allegato 5, Parte IV, Dlgs 152/2006, da intendersi esclusivamente quale “limite numerico” da riscontrarsi nell’analisi sul rifiuto “tal quale” (intesa come analisi di classificazione del rifiuto). L’imposizione di tale obbligo, non ha riscontro in alcun atto normativo, però rientrerebbe nella discrezionalità dell’ente regionale (c.d. “caso per caso”), trattandosi di rifiuti non disciplinati da uno specifico regolamento europeo o decreto nazionale per l’End of Waste (se non appunto, in via transitoria, dal Dm 5 febbraio 1998).
Si chiede una Vostra cortese valutazione circa la correttezza tecnica, normativa e scientifica, relativamente all’applicazione di limiti (Colonna B), formulati dal Legislatore per la bonifica dei siti contaminanti, al recupero di rifiuti, solo quale “limite numerico” da verificarsi su un’analisi di classificazione del rifiuto.
Apparecchiature elettriche analoghe a quelle domestiche, provenienti da attività industriale. Il Dlgs 49/2014, permette al produttore di trattare le apparecchiature elettriche, seppur provenienti da attività industriali, come i Raee domestici se analoghi per natura e quantità.
Si chiede: se il proprietario dell’azienda decide di sostituire 20 computer aziendali con altri 20 nuovi, per natura analoghi ai domestici, la quantità gli preclude l’attuazione della norma? Se si, dove si evince il numero massimo possibile di scambio uno contro uno per poter intraprendere questa strada?
A seguito di un’analisi chimica effettuata per motivazioni di sicurezza antincendio il rifiuto proveniente dalla lavorazione di leghe di magnesio, identificato con il codice CER non pericoloso assoluto 120103, risulta avere caratteristiche di infiammabilità HP3. Si chiede quale delle due procedure sia quella corretta per la sua gestione:
a) mantenere il CER 120103 e indicare nelle note del formulario che il rifiuto presenta, al di là del codice CER non pericoloso assoluto, un pericolo di infiammabilità;
b) assegnare un diverso codice CER pericoloso, anche se non corrispondente esattamente alla natura merceologica del rifiuto, come ad esempio il 120116* o il 160303*, e gestirlo quindi come un rifiuto pericoloso.
Nel primo caso l’impianto di destino può avere una semplice autorizzazione per la gestione di rifiuti non pericolosi?