La Rubrica si propone come strumento in grado di offrire un supporto operativo alla soluzione dei numerosi problemi interpretativi ed applicativi che sorgono nella produzione, nella gestione e nel controllo dei rifiuti. Ciò al fine di operare una collaborazione culturale e conoscitiva con il Pubblico direttamente coinvolto con le tematiche specifiche.
Una ditta che effettua la raccolta di indumenti usati attraverso cassonetti posizionati su aree private ad uso pubblico (ad esempio distributori di benzina o supermercati), deve essere in possesso di una convenzione con il Comune/società preposta alla gestione dei rifiuti, trattandosi di raccolta di rifiuti urbani (considerati tali in base all’articolo 184, comma 2, Dlgs 152/2006) destinati al recupero e quindi in regime di privativa del Comune (in base all’articolo 198) oppure chiunque può posizionare un cassonetto in area privata ad uso pubblico essendo solamente in possesso di una convenzione con il titolare dell’area?
Gestore del servizio pubblico di un Comune che possiede e gestisce direttamente due centri di raccolta autorizzati ai sensi del Dm 8 aprile 2008.
Per i rifiuti in uscita dai centri di raccolta viene predisposto il formulario di identificazione del rifiuto, anche se (secondo noi) il formulario non è necessario per i trasporti effettuati con nostri automezzi (o con quelli di trasportatori convenzionati).
È giusta la nostra interpretazione? Possiamo evitare di fare il formulario in uscita dai nostri centri di raccolta?
Impianto di compostaggio autorizzato con procedura ordinaria. In riferimento ai rifiuti biodegradabili di cucine e mense comprensivi del catering biocompostabile (posate e stoviglie) certificati a norma Uni En 13432/2002 relativa agli imballaggi, si chiede di conoscere se è corretta l’attribuzione (da parte del produttore) del Cer 20.01.08. Su tale attribuzione si avanzano i seguenti dubbi ed eccezioni: la raccolta di cucine e mense comprensive del catering dovrebbe avere una incidenza più rilevante rispetto agli altri rifiuti biodegradabili; la citata norma Uni per le prove di biodegradazione aerobica e di disintegrazione, prevede limitazioni sul risultato (il 10% circa della massa secca); ne deriva che già a monte della raccolta si configurano difformità con il rifiuto organico. Peraltro, è noto che già al momento dell’ingresso nell’impianto di queste bioplastiche compostabili, una percentuale è sicuramente non recuperabile e andrà ad incrementare la quantità di rifiuto prodotto, Cer 19.05.01 destinabile solo a smaltimento in discarica.
Impianto, autorizzato in regime ordinario al trattamento di rifiuti non pericolosi, riceve in D15 i Cer 191204 – 191208 da altri impianti autorizzati, in ballette manuali del peso di Kg 200. Una volta stoccati nell’impianto, tali rifiuti subiscono un trattamento di selezione ed adeguamento volumetrico per agevolare il trasporto. Si chiede se dopo queste operazioni possono essere smaltiti in D1 con il codice 191212.
Sul formulario, alla voce dati del trasportatore, se una ditta ha la sede legale diversa dalla sede operativa, è obbligatorio mettere comunque la sede legale in quanto a questa fa riferimento l’autorizzazione dell’Albo o si deve mettere la sede operativa dove cioè sono effettivamente tenuti i mezzi ed i registri? La circolare esplicativa del 1998 parla di sede operativa pertanto si presume che vada messa quella in cui i mezzi sono effettivamente presenti.
Un’impresa è iscritta al Registro provinciale per le attività di recupero di rifiuti non pericolosi in forma semplificata (ex articoli 214 e 216, Dlgs 152/2006), in riferimento alle tipologie 4.4 (scorie di acciaieria) e 7.25 (terre di fonderia), Dm 5 febbraio 1998 per la formazione di rilevati e sottofondi stradali.
Alla luce della disciplina introdotta dall’articolo 184-ter, comma 2, Dlgs 152/2006, l’impresa ritiene di poter considerare già recuperati i rifiuti a valle del test di cessione (verifica dell’unico requisito tecnico stabilito dal Dm 5 febbraio 1998) e non necessariamente di dover considerare il recupero concluso a seguito della posa in opera a formare il rilevato. Per tale motivo essa stocca presso un proprio sito le scorie e le terre, di cui ha verificato le caratteristiche nei modi e nei tempi di legge, quali materiali recuperati e liberamente utilizzabili in proprio o cedibili a terzi per la realizzazione di rilevati e sottofondi stradali.
Tale condotta può essere considerata in linea con le previsioni normative, e pertanto lecita?
Un impianto autorizzato al trattamento rifiuti può ritirare materiali con documento di trasporto, siano essi sottoprodotti o ex-mps, per aggiungerli nel processo? È necessario che l’utilizzo di tali materiali sia esplicitato in autorizzazione? L’eventuale quantitativo ritirato è da sottrarre al quantitativo totale di rifiuti autorizzato?
I grassi animali che derivano dalla cottura delle carni (es. porchette o girarrosto) vanno considerati rifiuti con il Cer 200125 oppure sottoprodotti di origine animale (Soa) di categoria 3 ai sensi del regolamento (Ce) 1069/2009/Ce? È necessario redigere un formulario o un documento commerciale?
Alcune imprese edili portano gli inerti nel loro insediamento con il formulario e una ditta terza effettua il trasbordo sul proprio autocarro per poi trasportarli all’impianto di destino finale autorizzato. Quest’attività di trasbordo viene eseguita con tutti i clienti e in modo continuativo e usuale come se fosse un impianto di stoccaggio. È corretto effettuare il trasbordo dei rifiuti in tal modo?
L’allegato 1B del Dlgs 99/1992 individua le caratteristiche agronomiche e microbiologiche che devono avere i fanghi per essere utilizzati direttamente in agricoltura. Tale norma è presa come riferimento dall’allegato 1 punto 16.1.2 m), Dm 5 febbraio 1998, per indicare le caratteristiche che devono avere i fanghi per essere avviati a recupero tramite compostaggio. L’allegato ammette, inoltre, una deroga alle caratteristiche agronomiche per i fanghi provenienti dall’industria agroalimentare.
È possibile, quindi, conferire a recupero tramite compostaggio i fanghi provenienti dall’industria agroalimentare anche se non rispettano uno o più limiti agronomici previsti dall’allegato medesimo?
Una Società che gestisce un centro di raccolta ai sensi del Dm 8 aprile 2008 ove si raccolgono anche rifiuti pericolosi (Raee e batterie al piombo Cer 200133) nonché produce e detiene presso la propria sede anche rifiuti pericolosi soggetti al trasporto in ADR (Cer 130208 olio motore, Cer 160601 batterie auto, Cer 160107 filtri olio, Cer 150202 stracci contaminati, Cer 080121 residui di vernice), è anch’essa tenuta alla nomina del consulente ADR? La Società non effettua il trasporto, ma esclusivamente la raccolta di tali rifiuti (per quanto riguarda il centro di raccolta) ed il deposito temporaneo dei propri rifiuti pericolosi. Terzi eseguono poi carico e trasporto. Si chiede pertanto se tali fasi della gestione rifiuti obblighino comunque alla nomina del consulente ADR, ferme restando eventuali esenzioni.
Caratterizzazione e classificazione di rifiuti associati ad un codice specchio. Si chiede quale debba essere il comportamento del laboratorio incaricato per analisi e classificazione, nel caso in cui il produttore abbia assegnato in partenza un codice pericoloso mentre le analisi portano alla classificazione come non pericoloso.
L’assegnazione da parte del produttore di un codice specchio pericoloso può essere indotta sia da un approccio cautelativo sia da aspetti inerenti la gestione stessa del rifiuto (ad esempio in caso di impianti autorizzati alle sole operazioni di stoccaggio (D15, R13) o di accorpamento (D14, R12) per i quali non è ammesso alcun cambio di Cer nella gestione dei rifiuti.
Alcuni laboratori riportano un giudizio che tiene conto, oltre che delle analisi, anche del Cer, se non addirittura eventuali classi di pericolosità, assegnato dal produttore. In altri termini: il giudizio deve essere vincolato alle analisi (pertinenza del laboratorio) o all’indicazione del codice (pertinenza e responsabilità del produttore)?
Un impianto, autorizzato solamente allo scarico di acque reflue domestiche, in subirrigazione, in virtù di un’autorizzazione rilasciata dal gestore del consorzio e tacitamente rinnovata, come da piano di tutela delle acque della Regione in cui è presente l’impianto, è da assoggettare ad Aua (in quanto tale autorizzazione è normata dal capo II, titolo IV, sezione II, parte III, Dlgs 152/2006) oppure no (in quanto l’articolo 124, comma 3, Dlgs 152/2006 rimanda questo tipo di autorizzazioni alla specifica normativa regionale)?