La tessitura normativa europea sulla sostenibilità è colma di estetizzazione ma priva di estetica

E così anche il discusso (e spesso discutibile) nuovo Regolamento Ue sugli imballaggi ha tagliato il traguardo della definitività. Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale Ue lo scorso 22 gennaio, ma sarà applicabile solo dal 12 agosto 2026. Impareremo a conoscerlo come PPWR (Packaging and Packaging Waste Regulation). Che tristezza l’uso ormai costante di questi acronimi; appiattiscono il senso vero delle cose che, silente, si smarrisce.

Tra le molte previsioni del Regolamento, una rivoluzionerà l’approccio alla ristorazione; infatti, i consumatori dovranno avere la possibilità di portare presso i diversi esercizi commerciali i propri contenitori da riempire con bevande (calde e fredde) o cibo pronto, senza costi aggiuntivi.

Ancora sul fronte europeo, in uno scenario dove l’Esg (un altro acronimo) fa la parte del leone, va segnalato che la Commissione Ue ha pubblicato 90 risposte ad altrettante domande frequenti in tema di rendicontazione di sostenibilità da parte delle imprese. Si tratta della Comunicazione n. 6792 che fornisce chiarimenti interpretativi di “talune disposizioni giuridiche” di una serie di norme europee sul tema della finanza sostenibile dalla direttiva 2013/34/Ue (su bilanci d’esercizio, bilanci consolidati e relative relazioni di specifiche imprese) al regolamento 2019/2088 (sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari).

Ma potremmo andare avanti a lungo perché l’Europa si muove e tanto. Ha fatto della sostenibilità il proprio mantra e lavora incessantemente sui relativi fronti. Un’esplorazione di temi avanzati per raggiungere una società europea preconizzata come perfetta. Ma la perfezione non è di questo mondo. La risposta istituzionale non è solo una “green wave”, è piuttosto una chiamata collettiva a fare ciascuno la propria parte nell’ottica di condividere i luoghi dove viviamo mediante il cambiamento del sistema economico ed evitando che questo avvenga a scapito dei più deboli. Ma ci riesce davvero? Quello che sta succedendo, ad esempio, nelle fabbriche di auto che chiudono e in tutta la filiera dell’automotive sembra proprio fornire una risposta negativa soprattutto in ordine alla salvaguardia delle fasce deboli.

Da questo caos, però, dobbiamo necessariamente trarre del buono, ripensando al modello di sviluppo e di società che immaginiamo affinché il disordine diventi una forza generatrice di idee nuove e originali. F. Nietzsche nella dolorosa genialità del suo “Così parlò Zarathustra” scriveva che “bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante”. La stella danzante è la tutela intelligente posta a presidio dei sistemi non solo naturali ma anche economici. Perché se non si morirà di inquinamento si morirà di stenti. A quel punto, la causa conta poco.

Invece, la “sostenibilità” è già diventata uno slogan commerciale, ingessato e pop che non emoziona ma, banalmente, eccita. È ormai dozzinale, un brand alla moda, quasi un idolo pagano, una rockstar urlante sottratta a ogni discussione pena la minaccia della lesa maestà.

Il manuale normativo offerto dalla pluralità di leggi europee non aiuta poiché ha ormai raggiunto una dimensione esagerata e regala un affresco difficile da decifrare e ricomporre. E, sempre più prolifico e ipertrofico (ma non per questo più efficace), è inetto alla sintesi. La tessitura normativa europea è ormai una celebrazione del migliore dei mondi possibili ma, colma di estetizzazione e priva di estetica, non ha respiro né ritmo né intensità.

Un’assenza che il tempo potrebbe non tollerare.