Il diritto alla riparazione e il “paradosso dell’opulenza”

Diritto alla riparazione, è l’oggetto della proposta di direttiva “R2R” (right to repair) e il nuovo mantra che sdogana l‘ultimo dei nuovi diritti disegnati da Bruxelles. Sul nuovo format del desiderare (ora noto nei limiti dell’accordo che Parlamento e Consiglio Ue hanno raggiunto lo scorso 1º febbraio sulla proposta di direttiva da parte dalla Commissione), una cosa è chiara: occorre “ridurre gli sprechi e sostenere il settore delle riparazioni, rendendole più accessibili e convenienti”. Quindi, riparare invece di acquistare nuovi prodotti. A tal fine, i consumatori avranno il diritto di richiedere la riparazione di una serie di prodotti tra cui lavatrici, aspirapolvere, smartphone, biciclette, anche dopo la scadenza della garanzia. Un po’ come con le vetture di cortesia offerte dalle marche automobilistiche più blasonate, la proposta chiede che al consumatore siano offerti prodotti sostitutivi per tutto il periodo della riparazione e se il dispositivo non sarà riparabile, potrà essere sostituito da uno ricondizionato.

Dal sito del Parlamento Ue si apprende che i costi ambientali annuali dello gettare via i beni di consumo riparabili sono altissimi: “261 milioni di tonnellate di emissioni equivalenti di CO2 , 30 milioni di tonnellate di risorse e 35 milioni di tonnellate di rifiuti”.

Il fatto che i consumatori scelgano di sostituire un prodotto invece di ripararlo genera perdite per circa 12 miliardi di euro all’anno. Secondo lo studio della Commissione Ue “Attitudes of Europeans towards waste management and resource efficiency” il 77% dei cittadini europei preferisce la riparazione all’acquisto di nuovi beni.

Nasce così una nuova figura di consumatore, fortificato e garantito nel suo desiderio, assistito nel suo consumo da questa e da altre iniziative che provano a farlo sentire libero e protagonista come il Regolamento sull’ecodesign che si candida a promuovere anche il passaggio da prodotto a servizio e l’immissione sul mercato di prodotti riparabili. Per consentire ai consumatori di acquistare in modo informato, si aggiunge la direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde.

Il consumo diventa così l’elemento unificante di luoghi, sistemi sociali e bisogni individuali. Il consumo: la seduzione che trasforma il pianeta in una merce. Il consumatore: l’essere soffocato nella spirale del capriccio che ha sostituito il desiderio, dove la soddisfazione è momentanea e distratta dai nuovi oggetti in arrivo.

I nuovi diritti creati a presidio del consumismo individualizzante che scalza sempre più il bene comune sono l’espressione chiara del paradosso dell’opulenza: più consumiamo e meno siamo felici. E la corsa, nella percezione individuale e segreta, è appena cominciata con la sua irriducibile concretezza.

Così si continua ad accampare pretese che si sommano in un’esperienza costante e muta ponendosi le domande più serie, con una leggerezza quasi blasfema. Domande alle quali risponde la creazione di gioiose macchine da guerra e architetture fantastiche ma che non eradicano il problema dove è: ridimensionare i consumi. Ma non solo e non tanto per i rifiuti ma anche e soprattutto perché i modelli sociali legati al consumo sostituiscono ormai ideologie e valori, travolgendo sistemi educativi e politici con la cultura commerciale.

E allora ben vengano le armi di distrazione di massa come il diritto alla riparazione per far dimenticare che, in un mondo dove la politica non riesce più a garantire la realizzazione delle aspirazioni individuali, il possesso è l’unico criterio di valore, dove la ricerca della felicità riposa solo nei consumi di massa, dove il progresso di scienza e tecnologia sottrae ogni libertà imponendo stili comportamentali.

Come non ricordare Lapo Berti quando nel suo “La felicità perduta. Economia e ricerca del benessere” (Luiss 2010), afferma che “Se l’individuo perde la speranza di poter realizzare il suo progetto di vita e di inseguire la sua idea di felicità, la fiducia nel patto sociale che rende possibile la convivenza di milioni di persone reciprocamente estranee è destinata ad assottigliarsi, con la terribile conseguenza di suggerire, se non addirittura imporre, l’adozione di comportamenti asociali o antisociali… La situazione dell’ homo homini lupus è sempre dietro l’angolo, ogniqualvolta l’individuo non sappia più cosa è e cosa potrebbe essere la sua felicità”.

E allora, forse, aver diritto a far aggiustare la lavatrice sarà troppo poco per ritrovare un senso.