La Rubrica si propone come strumento in grado di offrire un supporto operativo alla soluzione dei numerosi problemi interpretativi ed applicativi che sorgono nella produzione, nella gestione e nel controllo dei rifiuti. Ciò al fine di operare una collaborazione culturale e conoscitiva con il Pubblico direttamente coinvolto con le tematiche specifiche.
A una azienda terza, iscritta all’albo gestori ambientali in cat. 10, è stata affidata la raccolta sul territorio comunale dei materiali contenenti amianto.
L’azienda ogni qual volta le perviene la segnalazione, da parte del comune, della presenza di materiale abbandonato, provvede a delimitare il cantiere e ad attivare la procedura prevista dalla normativa.
Tuttavia, nella compilazione del formulario, indica come produttore/detentore il “Comune”, in quanto ritiene che trattasi di rifiuti abbandonati sul territorio comunale e pertanto, da considerarsi, per definizione, rifiuti urbani pericolosi, anche perché, essa si limita al solo confezionamento per il trasporto senza sottoporli ad alcuna trattamento di cernita e/o lavorazione.
Si chiede pertanto, se la procedura attuata dall’azienda risulta essere corretta o se invece, il solo fatto d’istituire il cantiere impone che l’azienda debba risultare sul formulario quale produttore e/o detentore del rifiuto.
Una società cooperativa gestisce un centro di raccolta dei rifiuti urbani dove vengono accettati tutti i rifiuti (pericolosi e non pericolosi) provenienti dai cittadini. Chi deve essere autorizzato, lo stesso ente pubblico o la società che gestisce il centro di raccolta dei rifiuti?
Alla luce dell’articolo 41 della legge 154/2016, si chiede se, a vostro giudizio, sia da ritenersi escludibile dalla normativa sui rifiuti, il materiale derivante da sfalci e potature di tutto il verde pubblico (quindi anche quello di pertinenza di strade ed autostrade) o solo quello relativo a manutenzione di parchi, giardini e aree cimiteriali (ovviamente sempre con la clausola di non pericolosità).
Nel primo caso, quindi, tutti i rifiuti urbani “verdi” sarebbero da intendersi esclusi dal campo di applicazione del Dlgs 152/2006?
Un’azienda gestisce una rete di telecomunicazioni presente sul territorio nazionale a servizio di enti pubblici e privati, a seguito di manutenzioni effettuate lungo le diverse stazioni può produrre rifiuti non pericolosi e pericolosi. Si chiede pertanto se tali rifiuti possono essere considerati come prodotti dalla manutenzione delle infrastrutture a rete ai sensi dell’articolo 230, Dlgs 152/2006 e se possono essere stoccati nel deposito temporaneo nel magazzino principale dell’azienda (luogo diverso dal luogo effettivo di produzione), considerando che non su tutti i rifiuti potrà essere effettuata una valutazione tecnica, finalizzata all’effettiva individuazione del rifiuto (condizione perché sia applicato l’articolo 230). Infatti, risulta difficile valutare ulteriormente alcuni rifiuti (es. le batterie sono sostituite perché esauste e quindi risulterebbero già rifiuto prima ancora di essere messe in deposito).
Inoltre si chiede se il trasporto di tali rifiuti dal luogo effettivo di produzione al magazzino (qualora si possa considerare come deposito temporaneo), deve essere fatto con un formulario inserendo l’azienda come produttore, trasportatore e destinatario del rifiuto stesso e se è così occorrerà effettuare tale trasporto con apposita iscrizione all’Albo nazione Gestori rifiuti.
Un produttore conferisce un rifiuto non pericoloso ad un impianto di recupero autorizzato in semplificata, in quantità superiori a quelle autorizzate (nel senso che lui da solo con la somma dei suoi conferimenti supera il limite annuale), che tipo di responsabilità e quali sanzioni potrebbero essergli attribuite?
In quanto tempo dalla data dello sforamento si prescrive la possibilità per gli enti di controllo di comminare eventuali sanzioni?
Azienda produttrice di rifiuti pericolosi e non, utilizza per la tenuta dei registri rifiuti Associazione di categoria alla quale, tramite report, invia mensilmente i dati sulla quantità dei rifiuti prodotti che verranno poi trasferiti sul registro dalla Associazione.
Domanda:
1) L’eventuale stampa del registro da parte della Associazione con quale tempistica deve avvenire?
2) Nel caso la tempistica corretta non fosse rispettata, quali eventuali sanzioni potrebbero essere applicate?
Ogni giorno in uno stabilimento viene prodotto il rifiuto 150203 (Guanti, stracci, etc.). Presso le postazioni di lavorazione ci sono dei contenitori di raccolta nei quali il personale depone i guanti di cui si deve disfare. Quando tali contenitori si riempiono, vengono vuotati dentro dei big bags. I big bags, a loro volta, vengono pesati, etichettati e stoccati presso l’area di stoccaggio provvisorio.
Solo allora viene eseguita la registrazione di carico del rifiuto.
Questo procedimento implica anche il passare di molti mesi dalla effettiva produzione del rifiuto alla registrazione sul registro rifiuti.
Così facendo, è possibile che si produca un rifiuto durante l’anno 2015, ma viene portato nello stoccaggio provvisorio nell’anno 2016 e in quell’occasione si registra il movimento di carico. Ovviamente, nel Mud relativo all’anno 2015, tale rifiuto non comparirà anche se è stato prodotto nel 2015.
Questo procedimento è adottato per fare in modo di non registrare ogni singolo paio di guanti che viene gettato.
È formalmente corretto o c’è qualcosa che andrebbe modificato?
Un impianto di recupero/smaltimento di rifiuti omette entro due giorni lavorativi di annotare in carico una decina di formulari attestanti l’ingresso dei rifiuti. La relativa sanzione per la tenuta incompleta del registro di carico scarico darà luogo all’applicazione del cumulo materiale e quindi l’importo contestato sarà pari a quello previsto per la mancata annotazione di un formulario moltiplicato per dieci?
Si chiede di sapere se le installazioni delle Forze armate, incluse quelle dalla Nato connesse alla difesa e alla sicurezza militare dello Stato hanno l’obbligo di aderire al Sistri, per quanto concerne la gestione dei rifiuti pericolosi. Ci risulta non sia stato ancora emanato alcun decreto interministeriale per la sua applicazione, come riportato nell’articolo 188-ter del Dlgs 152/2006 vigente da ottobre 2013. Pertanto, la domanda è se, stante quanto sopra, si può desumere che le installazioni militari siano esenti dall’applicabilità del Sistri. È corretto o no?