Editoriale

200. Ebbene sì, questo è il numero 200 della Rivista “Rifiuti-Bollettino di informazione normativa”. Trasformando il numero in tempo, con il 200 si celebra il 18° anno. Come dire: si è raggiunta la maggiore età. 18 anni che, da e con queste pagine, si parla di rifiuti, si interloquisce con i Lettori, si semina conoscenza e si sollevano interrogativi. 18 anni sono tanti per una persona, figuriamoci per una testata così specializzata e speciale come è questa Rivista che, avendo visto di tutto durante la sua breve ma lunga vita, è la memoria storica del settore dei rifiuti e il punto di riferimento per i tanti, tantissimi Lettori che la premiano con una sempre maggiore fedeltà, un’adesione intelligente e costruttiva e, perché no, con affetto.

In 18 anni si è assistito alle molte modifiche legislative della gestione dei rifiuti e, anche attraverso le risposte ai quesiti e le rubriche, si è scesi nel concreto delle problematiche, dando vita ad un dialogo serrato con chi opera. Molte modifiche, si è appena detto, forse troppe, perché non sempre risolutive di problemi che, quasi endemici, restano ancora oggi sul tappeto.

Pertanto, in questo specialissimo numero della Rivista, dove si pubblica il testo armonizzato e annotato del “Codice ambientale”, Parte IV, nella sua versione vigente dopo le numerosissime modifiche intervenute, si pubblica anche una sorta di “cahier de doléances” recante i punti critici che restano sul tappeto, nonostante le modifiche. Un’agenda a “costo zero” e redatta con cura che il Decisore politico e amministrativo centrale non può e non deve più ignorare. Questo Paese deve ripartire e l’intelligenza di sistema dei vari livelli della Pa si deve vedere, deve riappropriarsi di tutta la sua capacità di essere un regista sociale e non una squallida comparsa di una pièce di quart’ordine.

È incredibile, se ci si pensa, a quanta energia umana impegnano i rifiuti; ci sono eserciti di persone che, a vario titolo, se ne occupano. Eppure i rifiuti sono sempre un problema e difficilmente riescono a diventare quello che sono: una risorsa. Nell’“Uomo senza qualità” Robert Musil scriveva che “si potrebbero classificare le attività umane secondo il numero di parole di cui necessitano: più gliene occorrono e più c’è da pensare male della loro qualità”. Secondo questo (condivisibile) canone, la legislazione di riferimento, nazionale e locale (vista la mole di inchiostro di cui si compone e che sempre scatena in termini di prassi, giurisprudenza e dottrina), in una graduatoria ideale andrebbe ad occupare sicuramente uno degli ultimi posti.

Sul punto, infatti, l’azione è quasi sempre senza uno scopo preciso; nel caso (remoto) in cui uno scopo ce l’abbia, l’azione che ne deriva è talmente labile e inconsistente che i risultati sono decisamente scarsi. Quando le Regioni o le Province autonome battono i pugni e decidono che bisogna fare qualcosa di decisivo, emanano una bella legge contraria ai dettami della legislazione nazionale e, ovviamente, arrivano gli strali della Corte costituzionale. Altri costi si aggiungono così al bulimico conto a carico del cittadino. Questo il fronte politico/legislativo; il fronte politico/amministrativo, invece, si impasta nella farragine della burocrazia, si arricchisce con la singolarità del pensiero di ciascuno dove ogni Autorità di controllo ha una visione e una lettura diversa dello stesso fenomeno. Sicché il ritardo nel procedimento amministrativo si realizza in tutto il suo fulgore; mentre le paure e i sospetti si alimentano reciprocamente. Insomma, una grandiosa azione totalmente parallela a quella che servirebbe. Un’azione parallela che produce sfiducia e paralisi degli investimenti, che induce perdita di posti di lavoro, che non giova a nessuno, neanche all’ambiente. Sotto il profilo tecnico questa condotta non è un reato, però uccide i meccanismi della crescita e della ripresa.

E allora, per giustificare ritardi e puntigli e prese di posizione e chi più ne ha più ne metta, arriva l’arma del diritto fino ai denti, si scomodano commi, pandette e sentenze. È così che la legge da madre diventa matrigna, trasformandosi in sciatta scoria verbale.